
Lo ammetto, ha il potere di risvegliare in me la voglia di ruggire: un po' l'effetto che hanno certe parole sulle cellule terroristiche dormienti, per intenderci.
Ma chi è il coniglio? So che state pensando a quel buffo e tenero animaletto, al netto delle unghie affilate come le lame di Sweeney Todd, ma non è così. È invece la metafora dell'uomo medio che, almeno una volta nella vita, ruggisce rivendica la considerazione che merita.

Un attimo! A parte mia madre e le sue amiche, c'è qualcuno di età inferiore ai 70 anni che usa ancora il telefono per telefonare?
Comunque sia, anche se neppure Julian Assange ha mai avuto il coraggio di rivelarvelo, la triste verità è che terminare una frase con uno
equivale a chiosare con: ho ragione io e tu sei uno stronzo, ma così, per dire, simpaticamente. Non sempre, ma il più delle volte è così.


So solo che è romano, - credo romanista, ma non è politicamente corretto parlare di religione - che ha un fratello, una sorella, una moglie e due figli ventenni, cui sono dedicate le pagine più affettuose del libro.
Analogo affetto è rivolto al gruppo storico di compagni di avventura, tra cui Stefano, che ha perso l'uso delle gambe e rivendica il diritto ad essere chiamato handicappato e non diversamente abile, protagonista del racconto più tragicomico, quasi un'appendice testuale alla trilogia cinematografica di Amici miei.

Anzi, ad ascoltarli insieme ne Il ruggito del coniglio, in onda da venticinque anni, vengono più alla mente Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi.


A condizione che siano fatti di carta: amo entrare nelle librerie, - diffidate degli appositi banconi che si trovano nei centri commerciali, salvo che non siate di quelli che vivono l'esperienza del regalo come un obbligo da assolvere (in tal caso, un libro, un qualsiasi libro, è sempre meglio della classica candela profumata, sappiatelo) - prenderne sotto braccio due o tre, sfogliarli in attesa che una frase mi faccia innamorare. Talvolta è solo un'infatuazione, talvolta una storia seria.
E volevo leggerlo davvero Fate come se non ci fossi, che incrociai con lo sguardo mentre, nel periodo natalizio, ne stavo scegliendo un paio per mia madre, uno di un autore che so piacerle molto e un altro che pensavo sarebbe potuto piacere anche a me: si chiama regalo boomerang in gergo. Massimiliano, a te piacciono i libri dei pazzi, mi ripete spesso, che poi è la sua personalissima definizione di una letteratura che nessuno sa classificare e che, per evitare imbarazzanti silenzi, chiamiamo convenzionalmente realismo magico. Come darle torto allora, ma non ditelo alla mia anziana genitrice perché detesto darle ragione. E soprattutto non ditele che l'ho chiamata anziana.

Deriva divino-egoica a parte, le persone oggi accanto a me non sono quelle con cui ho condiviso la stagione dei vent'anni. Non so neppure dove siano andati a finire i miei vent'anni. Mi piace immaginarli da qualche parte lì fuori, ancora a rincorrere tutte le vite possibili mentre la mia la trascorrevo seduto sul letto, con la compagnia di un bellissimo gatto rosso, perennemente indeciso se farmi le fusa o prendermi a morsi, della radio sempre accesa e con in mano l'ennesimo manuale di diritto, e tutti quegli articoli da imparare stupidamente a memoria mentre gli ormoni mi facevano credere di essere innamorato della ragazza di turno. Il film è quello che fai, non quello che avevi in mente, sosteneva Fellini.
Ai parenti che ancora oggi mi chiedono perché sia fuggito a due esami dalla laurea, con la media del 29, rispondo inventando storie sempre diverse: la verità è che è stato Kafka a salvarmi la vita, ma di più non avrebbe senso dire.

Un testo solo in parte autobiografico, e non tanto per le vicende raccontate quanto per la leggerezza, l'ironia e l'autoironia, l'intelligenza nel giocare con le parole cui Marco Presta ci ha abituato da molti anni e che ne fanno il degno erede del suo maestro Enrico Vaime.
Il punto è che il mondo, seppur visto dai suoi occhi, è soprattutto il nostro: ne siamo parte, siamo noi ad alimentarlo ogni giorno, anche se non è facile da ammettere.
Non mancano momenti commoventi, come le storie di Tommaso, Sandro e dell'anziano speaker radiofonico, e qualche legittima incazzatura, ed è lì che il suo ruggito, oggi un po' malinconico, si fa sentire più forte. Anticipare troppo sarebbe però scorretto e, alla fine, l'unica cosa che avevo voglia di dirvi, parafrasando il titolo di uno di quei libri che leggi solo se ti ci obbliga la professoressa d'italiano, è che Marco Presta è il coniglio ritrovato.
Massimiliano Cerreto
Il quintalogo di Marco Presta