Cari batteristi,
ho trascorso la quasi totalità della mia carriera di (ex) giornalista musicale occupandomi di voi. E non me ne pento. Mai pentito neppure di essermi innamorato della batteria a 17 anni, nel 1991, senza mai averla suonata, solo grazie ai racconti di un mio compagno di classe, purtroppo scomparso appena ventenne. 29 dicembre 1993, il giorno in cui mio padre mi regalò la prima.
No, non sono un batterista, mai sentito tale, non fosse altro che per il rispetto nei confronti del vostro talento e dei vostri sacrifici. No, non sono un musicista, eppure non c'è un solo momento di quelli di cui ho memoria in cui non fosse presente la musica, dall'infanzia ad oggi.
Salvo rare eccezioni, sono almeno 30 anni, forse di più, che la principale fonte di reddito dei musicisti, talvolta l'unica, è rappresentata dall'insegnamento dello strumento: non è un mistero. Essere un maestro è però una vocazione oltre che un dono.
Non è un mistero neppure che quello della musica, già in condizioni precarie, sia stato uno dei settori più danneggiati dalle restrizioni contro il Covid: avete ragione. E le ragioni della sopravvivenza prevalgono su tutto, anche il buon senso. Ma né ora né mai potrete convincermi che si possa insegnare a distanza, non la batteria, non qualsiasi altro strumento. Ciò che mi dispiace maggiormente è che ne siete consapevoli anche voi. Ammetterlo è un'altra cosa, però.
Sì, le mie parole sono sprecate, non hanno il potere di cambiare lo stato delle cose, ma non possiedo altro. E sono qui ad assistere, impotente come voi, allo spettacolo finale.
Massimiliano Cerreto