11 marzo 2020

Se una notte, per caso...

Non lo so come ci fosse finito un undicenne sulle mie gambe. No, non era mio figlio, ma gli ero simpatico lo stesso, anche se di figli non ne ho avuti mai. Caldo, estate, musica, qualcuno ballava ed ero seduto per terra, insieme a lei, alle sue amiche e un paio di ragazzini irrequieti. Il più piccolo sapeva riconoscere le note e questo lo rendeva speciale, almeno agli occhi della madre, che era alla mia sinistra. Tutti giù per terra, come in quella filastrocca che non mi piaceva quando ad essere piccolo ero io, ma lei era accanto a me, alla mia destra, e solo di questo mi importava. E per lei intendo quella con la maglietta bianca con le roselline, i capelli castano chiari scalati corti e le lentiggini. No, la mora con la coda di cavallo e la tipa adesso girata di spalle non sono lei.
Si chiamava A. e c'eravamo incontrati poche ore prima, al ristorante dell'albergo, che poi era una sorta di casermone abusivo costruito a pochi metri dal mare, nulla di cui un architetto potrebbe mai andare orgoglioso. Ad avvicinarci, uno di quei classici buffet, gratis a condizione di essere ospiti della struttura, e io lì c'ero arrivato passeggiando in riva al mare. Avevo fame e mi sarei accontentato anche di quell'insalata con le scaglie di parmigiano e l'aceto balsamico che era nel suo vassoio, con la bottiglina d'acqua naturale d'ordinanza. Non so come fece a capirlo, o forse come non fossi più capace di nascondere nulla, ma m'indicò il tavolo, il suo, con le amiche e i ragazzini, e disse di aspettarmi lì. Perché d'estate mangiamo la pasta fredda? Ero quasi tentato di fare a cambio con la sua insalata, ma visto che era stata così gentile da pensare che potessero piacermi quelle pennette miste a non so che cosa, non ne ebbi il coraggio. 
No, A. non era né alta né magra e nemmeno giovanissima. Neppure io lo sono. Né alto né magro né giovanissimo. Aveva un bel sorriso però, e poi le lentiggini, che per fortuna ci stava attenta a non prendere troppo sole.
I figli e le loro madri erano andati a ballare, o almeno a muoversi assecondando la loro personalissima idea di cosa fosse ballare, e ne approfittai per darle un bacio sulla spalla, là dove la maglietta le lasciava scoperta la pelle. Fece finta di non accorgersene, di essere troppo impegnata ad ascoltare la musica. Un silenzio, si sa, non è facile da interpretare. Allora gliene diedi un'altro, e questa volta si girò verso di me, quasi a volermi dire: se proprio dobbiamo, almeno facciamolo come si deve. Sapevamo entrambi di essere l'uno per l'altra solo parentesi; che le amiche, i ragazzini e la notte ci avrebbero separati; che un giorno, presto o tardi, lo avrei raccontato a qualcuno, di lei, di me, del nostro bacio.

Massimiliano Cerreto