Una
storia di padri, figli e aspettative mancate
Niente
è come appare. Nella vita come al cinema. Soprattutto in quello di
Jaco Van Dormael, autore e regista belga ancora poco conosciuto in
Italia. Le sue opere sono altro anche dalla tanto acclamata
cinematografia contemporanea del suo Paese, e di cui i fratelli Dardenne sono considerati, a torto o ragione, gli esponenti più
illustri. Basti pensare che il precedente Mr. Nobody (2009), amato
dalla critica e dal pubblico internazionale al punto da essere
considerato un cult, non è mai uscito nelle nostre sale, e le
versioni in dvd non contengono i sottotitoli nella nostra lingua. Una
mancanza sopperita dall'autarchia della rete e da un gruppo di
traduttori appassionati.
(Aggiornamento: pubblicata l'edizione con il doppiaggio in italiano. 06/08/2016)
(Aggiornamento: pubblicata l'edizione con il doppiaggio in italiano. 06/08/2016)

Credo
che il dio del regista, qui anche cosceneggiatore con Thomas Gunzig
(doveroso citarlo), sia una metafora della figura paterna e che il
tema centrale della narrazione sia il senso diffuso e generalizzato
di frustrazione. Ad originarlo, le tante aspettative mancate lungo il
corso della vita, dall'infanzia all'età adulta. Per un bambino non è
forse il mondo intero ad essere modellato ad immagine e somiglianza
delle figure genitoriali? E a chi demanda il bambino il
soddisfacimento dei propri bisogni, materiali ed affettivi, se non
alla madre ed al padre? E cosa accade quando le nostre istanze non
vengono accolte? In primis dalla famiglia e poi dalla società. Ha
origine appunto la frustrazione, e con essa un insieme di erronee
attribuzioni di responsabilità. Si può davvero essere certi nel
dare a noi stessi oppure ad altri la colpa di ogni piccolo o grande
fallimento che sperimentiamo? Ammesso poi che di fallimenti si possa
parlare. In altre parole, per me il dio di Van Dormael è un povero
diavolo, un po' come tutti noi. Questa però è la conclusione del
mio ragionamento, occorre iniziare dal principio.
C'era
una volta un dio brutto sporco e cattivo, umano troppo umano. Viveva
in un grigio appartamento della non meno grigia Bruxelles, e con lui
una moglie – divinità dimenticata e rassegnatasi ormai al tacito
dissenso - ed una figlia di dieci anni di nome Ea. Del più noto
figlio maggiore della coppia, un certo JC (che in francese suona Je
suis, io sono), è vietato parlare: una vera spina nel fianco per il
padre padrone. Un giorno, la figlia combina un disastro rivelando
all'umanità il tempo che resta da vivere a ciascuno di noi, scappa
di casa attraverso l'oblò della lavatrice, trova sei apostoli e si
fa aiutare a scrivere un nuovo nuovo testamento (da qui, il titolo).
Sarà la madre, da brava dea ex machina, a rimettere le cose a posto,
non senza un pizzico di creatività femminile. Sin qui la fabula di
Le tout nouveau testament.



In
Toto le héros (1991), l'opera prima e forse la più bella, soltanto
il suo sguardo incantanto riesce a restituire purezza al tema tanto
delicato dell'amore al limite dell'incesto tra un fratello ed una
sorella. Il cinema di Jaco Van Dormal è quindi quello di un adulto
consapevole di rivolgersi ad un pubblico altrettanto adulto, ma con
una capacità di osservare la realtà che i 'grandi' spesso
dimenticano di possedere. Salvo poi rimanere vittime inconsapevoli
del lato oscuro del pensiero magico, ovvero finendo con il credere ai
santi, maghi e guaritori del nostro tempo.

(Un'altra digressione, piccolissima e sottovoce, in merito al numero degli apostoli: dodici quelli di JC e sei quelli di Ea. Ufficialmente, come spiegato nel film, 18 è il numero dei giocatori di una squadra di baseball, lo sport preferito dalla dea/madre. Basta, però, una piccola ricerca per apprendere che i numerologi vi associano la figura di Gesù, che io preferisco chiamare Yeshua, ma questa è un'altra storia.)
Ogni
transizione necessita di un rito di passaggio. Affinché la ragazzina
possa abbandonare per sempre l'infanzia ed il relativo sistema di
credenze, che sino ad allora l'avevano confinata in un mondo ad
immagine e somiglianza dei genitori/divinità, deve compiere un atto
rivoluzionario. Entra così nel luogo proibito della casa, lo studio
del padre/dio, e manomette il suo computer. Non un pc qualsiasi, ma
quello su cui lei sostiene vengano programmate le leggi universali
volte a rendere la vita un inferno a noi comuni mortali. E qui gli autori si sono ispirati non ai dieci comandamenti, ma alle più celebri leggi di Murphy. Accecata
dalla collera e dal rancore per le percosse subite dal genitore, con
il preciso intento di mandare all'aria il progetto paterno/divino,
convinta di poter fare meglio di lui, finisce con il rivelare
all'umanità la data di morte. Ma, come tutti i bambini, non è
davvero consapevole delle conseguenze delle proprie azioni. Ammesso
che gli adulti lo siano.
(Da notare che, nelle sequenze utili ad introdurre le figure dei sei apostoli, il primo a morire è lo stesso Van Dormael in un brevissimo cameo.)

La
prima apostola è Aurélie, giovane donna molto bella e per questo
oggetto del desiderio degli uomini di tutte le età e di disprezzo da
parte delle altre donne. Purtroppo la sua infelicità le deriva dalla
convinzione di non meritare l'amore per via di una grave menomazione
fisica: le manca un braccio a causa di un incidente ferroviario
avvenuto quando era ancora bambina. Mia cara ragazza, la vita è
una pista di pattinaggio, sono in molti a finire a gambe all'aria:
è la pillola di filosofia donatale da un (altro) barbone e anche il
suo personale contributo al nuovo nuovo testamento.
(Da notare che l'arto mancante è quello destro: che sia metafora dell'emisfero cerebrale deputato ai sentimenti?)
(Da notare che l'arto mancante è quello destro: che sia metafora dell'emisfero cerebrale deputato ai sentimenti?)

Più
difficile entrare in empatia con Marc, il terzo apostolo, detto
l'obsédé, che in italiano è stato tradotto come erotomane. Forse
sarebbe stato più giusto usare l'accezione ampia del termine:
l'ossessionato. Perché è questo che è: una persona ossessionata
dal ricordo del suo primo amore, - una ragazzina conosciuta in un
campeggio - da una sequela di innamoramenti con il vuoto a perdere e
accecata dal bisogno disperato di sesso. Spinto dalla mancanza di
denaro, speso quasi tutto in spogliarelli, trova lavoro come
doppiatore di film porno. Tra un rullo ed un altro, incontra un
giorno proprio la ragazzina del campeggio, oggi diventata donna, e
con una personalità non meno fragile della sua. Insieme vivono la
loro prima volta.

Vedere
Catherine Deneuve, la diva francese per eccellenza, a letto con un
gorilla è a dir poco grottesco. L'attrice, forse l'unica interprete
del film nota al grande pubblico italiano, impersona Martine, la quinta
apostola: donna âgé, sposata ad un uomo ricco ma distratto. Tra
shopping compulsivo e sesso mercenario, trova l'amore in un gorilla
del circo. Facile intuire che l'animale simboleggi la natura
istintuale dell'uomo. Un po' come dire che le mancava un vero maschio
che la facesse godere, ops.
La
figura di Willy, il sesto apostolo, è quella più difficile da
interpretare. Coetaneo (all'incirca) di Ea, il ragazzino è vittima
dell'ossessione materna per le malattie. Gli apprensivi e benestanti
genitori, saputo che il loro unico figlio sarebbe morto di lì a
poco, gli concedono un ultimo desiderio. Comprensibile lo shock
quando comunica loro la volontà di diventare una bambina. Il
pensiero dell'appassionato di cinema va subito al bellissimo Ma vie en Rose (La mia vita in rosa, 1997) del regista belga Alain Berliner,
ma credo che le intenzioni di Van Dormael fossero altre dal mero
citazionismo. Qui l'accento non è posto sul tema dell'identità di
genere. Willy è l'amico/a che Ea non ha mai avuto, il suo primissimo
amore e l'opportunità di riscrivere il mondo ad immagine e
somiglianza dei 'piccoli'. E insieme vivono quella felicità e
libertà che non hanno mai conosciuto prima, compresa la possilità di dare un nuovo nome ai giorni della settimana.
Le
storie degli apostoli si alternano alle vicissitudini del padre/dio.
Tornato sulla Terra per riportare a casa la figlia, dimostra di non
sapersela cavare tanto bene fuori dal suo appartamento e lontano
dall'amato pc. Pensando al discorso con il prete, che lo accoglie
come uno dei tanti bisognosi della parrocchia, si ha davvero
l'impressione di trovarsi di fronte ad un dio cattivissimo e
responsabile di tutti i dolori degli uomini. Eppure, infranto il
patto di non incredulità, continuo a credere sia solo il sogno di
una bambina di dieci anni arrabbiata con il padre.
Le conclusioni le ho già anticipate e non mi resta che dire: Dio esiste (forse), ma non vive a Bruxelles. Almeno credo.
Massimiliano Cerreto